La foto è la mia e la gestisco io. Quando la rete imbriglia il corpo delle donne


C’era una volta (ora non c’è più e, checché se ne pensi, sul web – verosimilmente – non c’è mai stata) la privata proprietà, oggi più internazionalmente detta Privacy; ovvero la garanzia – reale eppur virtuale – a tutela della propria immagine e di tutto ciò che attiene al nostro personale. In Italia, nel mondo e – men che meno – in rete.

Legislatori, garanti della privacy (ma perché non virgolettare l’approssimazione di questo termine, una volta e per tutte?) e, dunque, Autorità giudiziarie, risultano di fatto incapaci di far valere, applicare (sanzionare laddove occorra) leggi fumose e grossolanamente interpretabili. Troppo anarchicamente interpretabili.
Risultato: insensibilità conclamata verso conseguenze disastrose, frequenti e sottostimate, che derivano dalla diffusione a macchia di leopardo di foto, video, immagini di varia natura di cui ci si illude di vantare paternità/maternità (il gender è d’obbligo) e che, in un disordine sempre più macchinoso, sfuggono totalmente al nostro controllo.
Vip o gente comune, poco importa: il reato è trasversale e sparge dolore ovunque, preferendo – ovvio – mietere vittime che pagano un prezzo troppo alto alla notorietà, come nel caso dell’attrice Loretta Rossi Stuart (sorella-collega di Kim).
Occorre prevenzione, sì, e tanta oculatezza prima di compiere passi – considerati troppo spessso con superficialità – di cui spesso ci si pente.
Ma serve, soprattutto, una legislazione più severa, efficace, competente e rapida; scevra da furberie e intrallazzi, che non lasci spazio a manipolazioni di sorta.
Hai visto mai il nuovo Governo (God save it!), tra le pieghe/piaghe di un contratto già tanto elaborato, non riesca nell’intento?
Beh…rischieremmo di esultare, gridando al miracolo.

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