Lussemburgo, 20 novembre 2016. Secondo una direttiva dell’Unione europea, le vittime di reati dolosi violenti dovrebbero avere il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo dell’Unione in cui il reato è stato commesso. Gli Stati membri devono mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a tale direttiva.
In Italia, diverse «leggi speciali» prevedono, a determinate condizioni, la concessione di un indennizzo a carico dello Stato a favore delle vittime di talune forme di reati dolosi violenti (in particolare, i reati legati al terrorismo e alla criminalità organizzata). In seguito alla trasposizione della direttiva in Italia, tali leggi sono destinate ad applicarsi anche alle situazioni transfrontaliere (in linea generale, quando la vittima di un reato commesso nel territorio italiano è cittadina di altro Stato membro).
La Commissione ha promosso un ricorso per inadempimento contro l’Italia dinanzi alla Corte di giustizia. Essa sostiene che l’Italia, non avendo creato un sistema generale d’indennizzo in grado di coprire tutte le tipologie di reati dolosi violenti nelle situazioni transfrontaliere (quali lo stupro, le gravi aggressioni di natura sessuale, gli omicidi, le lesioni personali gravi e, in linea generale, qualsiasi reato che non rientri nell’ambito di applicazione delle «leggi speciali»), è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione.
L’Italia afferma, invece, di essersi conformata agli obblighi derivanti dalla direttiva. A suo parere, dalla direttiva emerge che gli Stati membri devono unicamente consentire ai cittadini dell’Unione residenti in un altro Stato membro di avere accesso ai sistemi di indennizzo già previsti dalle norme nazionali adottate in favore dei loro cittadini.
Con la sua sentenza nella causa C-601/14 Commissione europea / Repubblica italiana, la Corte sottolinea che il sistema di cooperazione istituito dalla direttiva richiede il rispetto del principio di non discriminazione sulla base della cittadinanza per quanto riguarda l’accesso all’indennizzo delle vittime di reati nelle situazioni transfrontaliere. La direttiva impone altresì a ogni Stato membro di adottare, al fine di tutelare la libera circolazione delle persone nell’Unione, un sistema nazionale che garantisca un livello minimo di indennizzo equo e adeguato per le vittime di qualsiasi reato doloso violento commesso nel suo territorio.
Gli Stati membri dispongono, in linea di principio, della competenza a precisare la portata della nozione di «reato doloso violento» nel loro diritto interno. Tuttavia, essi non possono limitare il campo di applicazione del sistema di indennizzo delle vittime soltanto ad alcuni dei reati dolosi violenti.
La Corte conclude dichiarando che l’Italia, non avendo adottato tutte le misure necessarie al fine di garantire l’esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di qualsiasi reato doloso violento commesso sul proprio territorio, non ha correttamente trasposto la direttiva.
Da ricordare: la Commissione o un altro Stato membro possono proporre un ricorso per inadempimento diretto contro uno Stato membro che è venuto meno ai propri obblighi derivanti dal diritto dell’Unione. Qualora la Corte di giustizia accerti l’inadempimento, lo Stato membro interessato deve conformarsi alla sentenza senza indugio.
La Commissione, qualora ritenga che lo Stato membro non si sia conformato alla sentenza, può proporre un altro ricorso chiedendo sanzioni pecuniarie. Tuttavia, in caso di mancata comunicazione delle misure di attuazione di una direttiva alla Commissione, su domanda di quest’ultima, la Corte di giustizia può infliggere sanzioni pecuniarie, al momento della prima sentenza.
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